Gocce di Esperienza
16 DICEMBRE - IL CARCERE SAN PEDRO
“Soy de la pastoral… tengo credencial”
Sono queste le parole da dire per entrare al carcere di San Pedro, dopo aver mostrato i documenti ed essere stati perquisiti dalle guardie. Intanto i detenuti si accalcano alle sbarre del cancello; è infatti l’unico punto l’entrata, dove possono vedere le persone che fuori camminano libere e i bambini che giocano al parco.
Sono colpito dalle persone che abitano il carcere, una volta entrato.
Sono uomini che in molti casi hanno già scontato la loro pena, ma che ancora non hanno avuto un processo definitivo. Come nel caso di Sebastian, un detenuto olandese incarcerato da più di quattro anni, ancora senza una pena definitiva, che magari per spaccio, sarebbe stata di due anni di reclusione. Come si fa a privare anche solo di un’ora di libertà un uomo, che intanto avrebbe potuto, scontata la sua pena, riscattarsi... pianificare la propria vita?
E mentre cammino tra quella gente, che se ne sta li appesa ad un filo, persone che ti stupiscono per la loro cordialità, ma nelle quali si percepisce un profonda insicurezza e ansietà, un forte desiderio di libertà e riscatto, me ne frego dei loro crimini e non m’importa del loro passato. Spesso sono completamente abbandonati e senza punti di riferimento esterni, altri hanno la fortuna di avere una moglie e figli a confortarli.
Anche molte donne vengono incarcerate (non al San Pedro, ma al carcere Miraflores o a Obrajes) e quando succede di solito è per spaccio di droga. Sono donne anche non più giovani, madri di famiglia che non sanno quali possono essere i danni che la droga provoca sui loro acquirenti. Solamente si accorgono che con un palmo di cocaina riescono a sfamare i propri figli per una settimana… e così la vendono, per poi ritrovarsi dentro un carcere.
Nel carcere maschile le cose non cambiano di molto. La miseria può far fare cose che non avresti mai pensato. E tra quella gente, capace di abbracci, sorrisi, parole di ironia e di conforto, la sensazione non è quella di stare tra criminali pericolosi e violenti… la sensazione è quella di essere tra vittime di una società che incrimina e non aiutata, che reclude per anni senza alcun progetto di recupero; è una società dove gli ultimi e gli emarginati pagano il prezzo della ricchezza di pochi, della corruzione dei potenti (mi ricorda un poco un altro paese che conosco bene).
Nessun uomo nasce criminale. Ognuno però, è il risultato di ciò che è costretto a vivere, è la somma delle esperienze che subisce. E se tutto quello che questo sistema rappresenta non viene assimilato a dovere, allora può diventare pericoloso… e una persona debole, disagiata, vittima delle violenze di questa società, può diventare a sua volta violenta.
Il San Pedro è una piccola società organizzata con proprie regole e gerarchie.
Puoi trovarvi un ristorante, una falegnameria, il calzolaio, vari chioschi di alimentari, celle da benestanti (se hai soldi per pagare gli avvocati poi non resti troppo dentro il carcere) e da poveracci...
Spesso un carcerato deve provvedere oltre che alla sua alimentazione, anche a quella dei propri figli e magari anche della moglie.
I bambini, più di 200, rendono la quotidianità del carcere, più umana e attenta, anche se a volte non è possibile evitare episodi di crudeltà. Il San Pedro è duro e inospitale e i bimbi sono le prime vittime di tutta la violenza e l’angoscia chiusa tra quelle mura. Episodi di abusi sessuali e maltrattamenti non sono infrequenti... a volte il padre fa prostituire il figlio per denaro, per potersi permettere la droga. Per la droga vendono tutto, anche le coperte, e sono cos¡ costretti a dormire al gelo delle notti di La Paz.
Willy ha appena dieci anni e si vanta di essere il figlio di un “trentòn”, cioè il figlio di un detenuto che deve scontare trent’anni... dovrebbe andare a scuola, ma nessuna istituzione lo controlla; dovrebbe crescere tra l’amore e il gioco, mentre sta irrigidendosi tra violenza e ostilità... Willy è dolce anche se dispettoso... ama il calore di un abbraccio e il conforto di parole amiche... mi si avvinghia appena mi vede e stringendomi, mi chiede il mio nome e vuole che giochi con lui.
Di Willy al San Pedro ce ne sono a decine…
Continuo a vivere a gocce questa permanenza... spesso non capisco nulla di quello che succede e le cose sono troppe e troppo dubbie spesso. Ma va bene cos¡, non sono di certo venuto qua per trovare sicurezze!! Finalmente ritrovo la serenità che mi permette di filtrare le cose e riceverle per quelle che sono e sento di voler dare tutto me stesso per ciò in cui credo.
Grazie mille a tutti!!! GRANDIIIIIIIIIIII!!!!
20 dicembre ’09 – IL KINDER
Comincio a riconoscere le strade...
Da evitare zone come El Alto e il centro storico di San Francisco, o almeno da percorrere in due... non si sa mai.
Evitare l’uso di taxi se non si è in compagnia... spesso il taxista si accorda con il delinquente che sta al sedile posteriore per estorcerti denaro... a volte finisce proprio male (io vado a piedi e di brutto!).
Meglio non uscire di notte da soli... anzi meglio non uscire proprio.
La Ecuador porta direttamente al carcere da Plaza España... e’ tutta dritta e ben frequentata durante il giorno; perfetta da fare a piedi in una ventina di minuti.
Cammino con la Barbara lungo i viali contorti di La Paz... spesso le mattonelle del marciapiede sprofondano in una pozza d’acqua appena le pesti e dopo esserti inzuppato le bestemmie servono a poco. Quando il marciapiede non esiste proprio, allora bisogna pensare ad attraversare... allora si, conti fino a tre e deciso corri dall’altra parte evitando le macchine che appena ti vedono da lontano cominciano a strombazzare all’impazzata! Siamo in marcia verso il carcere, oggi si lavora al Kinder! Allora si parla di tutto, dai nostri progetti alle nostre emozioni, stando attenti a non pestare qualche cacca di cane o a non cacciare il piede in uno dei tanti tombini aperti. Lungo la strada una vecchia signora seduta a terra con la nipote allunga il cappello per chiedere qualche pesos. Sulla sinistra un cantiere con una casa in costruzione... dieci operai: uno mescola il cemento, gli altri lo guardano seduti (venendo dall’Italia pensavo di averle viste tutte... invece!)
Camminando arriviamo al parco di fronte al carcere, dove la Berta con la figlia Paola, hanno un chiosco che vende di tutto... dalle chiamate extraurbane alle sigarette... sono simpatiche e cordialissime, dicono sappiano tutto di tutti stando in una zona cos¡ di passaggio... un po come le parrucchiere. Un saluto caloroso e poi diretti verso il carcere.
Il Kinder sta proprio sopra il pozzo all’interno del carcere... e’ una stanzetta sopraelevata, un “quartito” di 10 x 10 m se voglio essere molto generoso, dove abitualmente soggiornano 50 niños a turno e lavorano 2 – 3 operatrici a volta piu’ il volontario quando c’e’.
Il Kinder e’ una boccata d’aria fresca per i bambini che abitano al carcere... finalmente possono giocare, divertirsi e ridere. E’ incoraggiante sentire le vocine di David, Gabriela e chissà chi di cui non ricordo il nome, gridare “hermano Mirco, hermanito!” un poco meno quando ti danno del “gringos”!
Mi tirano la barba e strisciano i peli delle braccia meravigliati, come se non ne avessero mai visti in vita loro... mentre disegno chino, mi assaltano in due o tre aggrappandosi alla schiena, poi al petto, stringendomi il naso dicendo “naris! naris!” (gli avevo appena un minuto prima chiesto gesticolando come si pronuncia naso in spagnolo)... si entusiasmano per nulla e si emozionano quando per tv vedono i cartoni di natale, con la neve e i regali sotto l’albero... io mi emoziono con loro... per loro.
Il centro per bambini figli di detenuti, da ai niños la sicurezza di due merende sostanziose e di un posto fisso dove incontrarsi e ricevere l’affetto degli operatori, sempre gli stessi quando e’ possibile. C’e’ancora molto da lavorarci... bisogna programmare attività, uscite, regole, orari, comprare alimenti, giochi, materiale scolastico quando manca... impregnare seggiole e tavoli, organizzare feste, aggiustare il gabinetto, magari riverniciare qua e la... non vedo l’ora!
E tra tutto quel delirio, spaesato e intontito come mi ritrovo la sera... tra mal di testa per lo sforzo costante di riuscire a capire qualcosa di spagnolo e il fiatone per avrer appena salito gli otto piani (128 gradini) che a piedi mi portano a casa in Plaza España... mi ritrovo sereno.
Oddio i pensieri sono mille e le certezze poche... ma per ora poco importa.